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In Puglia marocchini «schiavi» «Così si diventa clandestini»
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In Puglia marocchini «schiavi» «Così si diventa clandestini»
Entrano con il visto per lavoro stagionale, dopo aver pagato 6mila euro all’intermediario marocchino che vive in Puglia. Nelle mani hanno il contratto d’assunzione spedito dal datore di lavoro di Ruvo, di Bitonto, di Canosa. Contratto con tanto di nulla osta rilasciato dallo «Sportello unico» provinciale per l’immigrazione attivo nella prefettura di Bari. Una volta in Puglia, l’assunzione svanisce, l’alloggio pure, perché il datore di lavoro si dichiara indisponibile all’assunzione e il marocchino amico fa minacce pesanti se non vanno via e infastidiscono l’imprenditore. E per loro, tutti marocchini, si apre il baratro della clandestinità. Con la prospettiva, quasi certa, di tornare in patria dopo essere passati dalle sbarre dell’ex Cpt, ora Centro di identificazione e espulsione.
Ci mettono poco alla Cgil di Bari a spiegare quel che da almeno tre mesi accade nelle campagne del Nord Barese. Giuseppe De Leonardis, segretario provinciale della Flai (agroindustria) e Azmi Jarjawi, alla guida del Coordinamento provinciale immigrati, hanno messo tutto per iscritto, spedendo la denuncia al prefetto di Bari, Carlo Schilardi, al questore di Bari Vincenzo Speranza e ai governatori della Regione, Nichi Vendola e della Provincia di Bari, Vincenzo Divella. Nessuno può dire non di sapere. Ma sapere cosa?
Scrivono i due: «Si sta ripetutamente verificando nella nostra provincia un giro di malaffare tra vari soggetti, un nuovo mercato degli schiavi». E per essere precisi: marocchini «entrati in Italia a seguito degli iter burocratici espletati dalle aziende e dalle relative autorizzazioni, si sono visti rifiutare sia il lavoro sia l’alloggio. Dalle dichiarazioni in nostro possesso, sottoscritte di proprio pugno dai lavoratori interessati, risulta che gli stessi, contattati da intermediari nel proprio Paese, hanno pagato circa 6mila euro a testa, a titolo di anticipazione delle spese e del fitto per l’alloggio, a seguito dell’offerta di lavoro».
De Leonardis e Jarjawi hanno tra le mani il caso di nove marocchini. Chiariscono: «Questa situazione, ormai già ripetuta per tre aziende agricole, una di Canosa, una di Bitonto e una di Ruvo, ci lascia presupporre l’esistenza di un giro non legale tra aziende e nuovi caporali extracomunitari, che utilizzando impropriamente una legge sul lavoro stagionale, lucrano sul bisogno del lavoro di questi soggetti deboli, che una volta arrivati in Italia, non solo non vengono avviati al lavoro, ma vengono cacciati nella clandestinità, a causa anche di una recente interpretazione ministeriale restrittiva di diniego della concessione di permessi di soggiorno per attesa occupazione».
Un passo indietro per capire come questa nuova forma di truffa dei nuovi schiavi avvenga in punta di legge. Gli stagionali entrano dopo che il governo pubblica le quote di ingresso ripartite per provincia. Ogni anno le associazioni degli agricoltori rivendicano quote più alte perché il «fabbisogno di manodoperacresce», ma siccome non c’è una verifica su come il numero debba esere determinato, le quote per gli stagionali sono le stesse da anni: per la provincia di Bari, 401 la quota 2008 resa nota il primo febbraio. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il datore di lavoro prenota per via telematica il numero di lavoratori residenti all’estero, indicandone i nomi. È chiaro che ha già avuto indicazioni da qualche intermediario immigrato.
A questo punto lo Sportello unico in venti giorni deve concedere o meno il nulla osta, dopo che gli ispettori del lavoro hanno verificato la capacità reddituale dell’impresa e le forze dell’ordine la fedina penale dei lavoratori. Mai successo che lo Sportello abbia rispettato il termine previsto. Il datore di lavoro viene convocato per firmare il contratto di lavoro e una dichiarazione con la quale s’impegna a garantire un alloggio idoneo, a pagare il biglietto aereo per il ritorno in patria, e a comunicare in otto giorni eventuali modifiche del rapporto di lavoro. Così, riceve il nulla osta che viene trasmesso contestualmente all’ambasciata. Il lavoratore straniero a quel punto va all’ambasciata italiana del suo Paese per ottenere il visto.
Una volta entrato in Italia l‘immigrato ha 8 giorni per andare allo Sportello, perfezionare il contratto e chiedere il soggiorno. E deve «esibire» la richiesta da parte del datore di lavoro del certificato di idoneità alloggiativa. Solo allora spedisce il kit (72 euro di tasse) in attesa del soggiorno. Se nel frattempo il datore di lavoro, come nei casi denunciati dalla Flai, si rifiuta ad assumere, il permesso di soggiorno non arriverà mai. Ma i soldi in tasca presi dal mediatore solo per aver avviato la pratica, sono già in tasca. Non si tratta di bruscolini, ma di migliaia di euro per ogni immigrato. E l’anno prossimo, il “giro” potrà di nuovo essere messo in moto. Perché all’impresa non succede nulla.
www.la gazzetta.it
Ci mettono poco alla Cgil di Bari a spiegare quel che da almeno tre mesi accade nelle campagne del Nord Barese. Giuseppe De Leonardis, segretario provinciale della Flai (agroindustria) e Azmi Jarjawi, alla guida del Coordinamento provinciale immigrati, hanno messo tutto per iscritto, spedendo la denuncia al prefetto di Bari, Carlo Schilardi, al questore di Bari Vincenzo Speranza e ai governatori della Regione, Nichi Vendola e della Provincia di Bari, Vincenzo Divella. Nessuno può dire non di sapere. Ma sapere cosa?
Scrivono i due: «Si sta ripetutamente verificando nella nostra provincia un giro di malaffare tra vari soggetti, un nuovo mercato degli schiavi». E per essere precisi: marocchini «entrati in Italia a seguito degli iter burocratici espletati dalle aziende e dalle relative autorizzazioni, si sono visti rifiutare sia il lavoro sia l’alloggio. Dalle dichiarazioni in nostro possesso, sottoscritte di proprio pugno dai lavoratori interessati, risulta che gli stessi, contattati da intermediari nel proprio Paese, hanno pagato circa 6mila euro a testa, a titolo di anticipazione delle spese e del fitto per l’alloggio, a seguito dell’offerta di lavoro».
De Leonardis e Jarjawi hanno tra le mani il caso di nove marocchini. Chiariscono: «Questa situazione, ormai già ripetuta per tre aziende agricole, una di Canosa, una di Bitonto e una di Ruvo, ci lascia presupporre l’esistenza di un giro non legale tra aziende e nuovi caporali extracomunitari, che utilizzando impropriamente una legge sul lavoro stagionale, lucrano sul bisogno del lavoro di questi soggetti deboli, che una volta arrivati in Italia, non solo non vengono avviati al lavoro, ma vengono cacciati nella clandestinità, a causa anche di una recente interpretazione ministeriale restrittiva di diniego della concessione di permessi di soggiorno per attesa occupazione».
Un passo indietro per capire come questa nuova forma di truffa dei nuovi schiavi avvenga in punta di legge. Gli stagionali entrano dopo che il governo pubblica le quote di ingresso ripartite per provincia. Ogni anno le associazioni degli agricoltori rivendicano quote più alte perché il «fabbisogno di manodoperacresce», ma siccome non c’è una verifica su come il numero debba esere determinato, le quote per gli stagionali sono le stesse da anni: per la provincia di Bari, 401 la quota 2008 resa nota il primo febbraio. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il datore di lavoro prenota per via telematica il numero di lavoratori residenti all’estero, indicandone i nomi. È chiaro che ha già avuto indicazioni da qualche intermediario immigrato.
A questo punto lo Sportello unico in venti giorni deve concedere o meno il nulla osta, dopo che gli ispettori del lavoro hanno verificato la capacità reddituale dell’impresa e le forze dell’ordine la fedina penale dei lavoratori. Mai successo che lo Sportello abbia rispettato il termine previsto. Il datore di lavoro viene convocato per firmare il contratto di lavoro e una dichiarazione con la quale s’impegna a garantire un alloggio idoneo, a pagare il biglietto aereo per il ritorno in patria, e a comunicare in otto giorni eventuali modifiche del rapporto di lavoro. Così, riceve il nulla osta che viene trasmesso contestualmente all’ambasciata. Il lavoratore straniero a quel punto va all’ambasciata italiana del suo Paese per ottenere il visto.
Una volta entrato in Italia l‘immigrato ha 8 giorni per andare allo Sportello, perfezionare il contratto e chiedere il soggiorno. E deve «esibire» la richiesta da parte del datore di lavoro del certificato di idoneità alloggiativa. Solo allora spedisce il kit (72 euro di tasse) in attesa del soggiorno. Se nel frattempo il datore di lavoro, come nei casi denunciati dalla Flai, si rifiuta ad assumere, il permesso di soggiorno non arriverà mai. Ma i soldi in tasca presi dal mediatore solo per aver avviato la pratica, sono già in tasca. Non si tratta di bruscolini, ma di migliaia di euro per ogni immigrato. E l’anno prossimo, il “giro” potrà di nuovo essere messo in moto. Perché all’impresa non succede nulla.
www.la gazzetta.it
Re: In Puglia marocchini «schiavi» «Così si diventa clandestini»
Uomini e donne in cerca di una vita migliore per loro e i loro figli costretti a mettere da parte sogni e dignità, in una terra straniera, trattati come nemici e sfruttati fino all'osso.
Uomini e donne come noi che come noi hanno diritto ad essere trattati con rispetto.
Art. 35.
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali
intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi
stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro
italiano all'estero.
Art. 36.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente
ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita
dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali
retribuite, e non può rinunziarvi.
Uomini e donne come noi che come noi hanno diritto ad essere trattati con rispetto.
Art. 35.
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali
intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi
stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro
italiano all'estero.
Art. 36.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente
ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita
dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali
retribuite, e non può rinunziarvi.
bibi- Staff
- Numero di messaggi : 345
Data d'iscrizione : 14.04.08
Re: In Puglia marocchini «schiavi» «Così si diventa clandestini»
Il problema è che pochissimi lavoratori vengono trattati con rispetto!
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