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Muccino contro la mafia: ecco il docufilm per le scuole
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Muccino contro la mafia: ecco il docufilm per le scuole
«Scusa». Tuona Nichi Vendola contro la classe dirigente di cui è rappresentante come governatore della Puglia. E non dice, sprezzante, «La mafia mi fa schifo», come un suo ex collega, non ne nega la presenza, non si lancia in vuota retorica strappalacrime. Chiede scusa per la politica connivente, i burocrati mafiosi, le istituzioni assenti. «Perché le vittime - dice nella giornata organizzata da Libera - non sono solo nomi, cognomi e lapidi, ma il sorriso e l'odore che non ci saranno più. A loro dobbiamo decenza e dignità». E' l'unico applauditissimo politico (un impegno di decenni non si improvvisa) presente in Io ricordo , il film diretto da Ruggero Gabbai, prodotto da Indiana, casa di produzione di Gabriele e Silvio Muccino, e ispirato al libro Per questo mi chiamo Giovanni di Luigi Garlando (Fabbri).
Proiettato ieri sera in anteprima all'Auditorium di Roma, è un'opera sulla mafia e le sue vittime, da Peppino Impastato a Libero Grassi, una favola nera raccontata da un padre a un figlio (Gianfranco Jannuzzo e Piero La Cara) per educarlo a una vita civile, per dargli degli eroi veri e non boss da adorare. «Non basta l'impegno da parte dei giudici e delle forze dell'ordine - sottolinea Gaetano Paci, magistrato e presidente della Fondazione Progetto Legalità, tra i promotori del progetto- bisogna affiancare all'antimafia giudiziaria un'antimafia sociale e culturale. La scuola non può sostituirla ma contribuisce a una lotta complessiva». Un film, questo, non destinato, per ora, a sale o tv, ma a circolare nelle scuole, attraverso un percorso didattico preciso, "La memoria si fa scuola", che vedrà al centro il sito www.progettolegalita.it, e lo studio di un libro di testo sulla mafia e le sue vittime, La memoria ritrovata e della Costituzione, oltre alla partecipazione all'Officina della memoria.
Memoria, una parola ricorrente, ossessiva in questo progetto, e in effetti Gabbai, in un docufilm ibrido (tante testimonianze, ma la storia guida è una piccola road fiction), riesce in un utile paradosso. Spingere alla fiducia nella legge, contro la criminalità organizzata, ricordando e raccontando di chi è stato abbandonato dalla prima e ucciso dalla seconda. Un percorso di 26 vittime rammentate (come ha fatto Pif nelle prime puntate de Il testimone ) da figli, mogli, madri, sorelle, fratelli, da monumenti, da luoghi ribattezzati con i loro nomi. Una via crucis fatta di tragedie annunciate, che ha come numi tutelari Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che, come dice Jannuzzo all'inizio della sua storia, «erano come Inzaghi e Vieri: fortissimi e si integravano alla perfezione». Il pretesto è il decimo anniversario della Strage di Capaci, e il decimo compleanno del piccolo: il regalo è una giornata insieme, a parlare di mafia.
«Vogliamo ridare dignità - dice ancora Paci - agli eroi dimenticati della storia italiana senza confonderli con quelli falsi che qualche politico italiano ha tirato fuori in momenti topici come la campagna elettorale». Già, il famoso stalliere di un ancora più famoso politico fu definito eroico dallo quest'ultimo per aver "resistito" proprio a Falcone e Borsellino, per non parlare del ministro che sottovaluta Saviano, dell'ex ministro che ammetteva che «con la mafia si deve convivere» e dell'altro esponente della stessa parte politica che si lamentò della scelta di intitolare Punta Raisi ai due magistrati, definendola una decisione «deprimente e antituristica». Proprio in quell'aeroporto finisce il suo viaggio - non solo geografico, ma anche semantico, tra le parole chiave della mitologia mafiosa - il padre del film: «perché chi arriva deve sapere che la Sicilia non è la terra dei mafiosi, ma di Giovanni e Paolo». Un bel messaggio in un paese giustizialista come l'Italia, in cui i giudici di successo sono quelli chiassosi, arroganti, che forzano leggi e applicazioni, mentre quelli davvero in prima linea vengono attaccati costantemente, costretti all'esilio o a un martirio telecomandato. «Perché - prosegue ancora Paci - la mafia non è solo un'organizzazione criminale, ma un sistema di potere, che va contrastato con tutti i mezzi. Non basta la repressione, è necessaria la formazione. L'antimafia dovrebbe essere patrimonio politico e morale collettivo». Un monito a tutti, stato compreso, e non un'invocazione punitiva.
«Siamo tutti colpevoli dell'oblio - sottolinea Gabriele Muccino - spero che questo sia un passo per costruire un patrimonio di coscienza civile e memoria condivisa. Per questo mi auguro che un documento duro come questo non susciti solo rabbia e indignazione». Il lungometraggio arriva in un paese che la mafia l'ha vista declinata in molti modi (a Cannes con Gomorra e Il divo , per restare al cinema) e guarda al futuro tornando al passato, alla lezione del magistrato Rocco Chinnici, che dell'impegno nelle scuole faceva una malattia: le girava, a centinaia, per quella che era una testimonianza umana prima che istituzionale, per vivere ed eventualmente morire potendo rimanere orgogliosi di sé e della propria battaglia per rompere l'omertà.
www.liberazione.it
Proiettato ieri sera in anteprima all'Auditorium di Roma, è un'opera sulla mafia e le sue vittime, da Peppino Impastato a Libero Grassi, una favola nera raccontata da un padre a un figlio (Gianfranco Jannuzzo e Piero La Cara) per educarlo a una vita civile, per dargli degli eroi veri e non boss da adorare. «Non basta l'impegno da parte dei giudici e delle forze dell'ordine - sottolinea Gaetano Paci, magistrato e presidente della Fondazione Progetto Legalità, tra i promotori del progetto- bisogna affiancare all'antimafia giudiziaria un'antimafia sociale e culturale. La scuola non può sostituirla ma contribuisce a una lotta complessiva». Un film, questo, non destinato, per ora, a sale o tv, ma a circolare nelle scuole, attraverso un percorso didattico preciso, "La memoria si fa scuola", che vedrà al centro il sito www.progettolegalita.it, e lo studio di un libro di testo sulla mafia e le sue vittime, La memoria ritrovata e della Costituzione, oltre alla partecipazione all'Officina della memoria.
Memoria, una parola ricorrente, ossessiva in questo progetto, e in effetti Gabbai, in un docufilm ibrido (tante testimonianze, ma la storia guida è una piccola road fiction), riesce in un utile paradosso. Spingere alla fiducia nella legge, contro la criminalità organizzata, ricordando e raccontando di chi è stato abbandonato dalla prima e ucciso dalla seconda. Un percorso di 26 vittime rammentate (come ha fatto Pif nelle prime puntate de Il testimone ) da figli, mogli, madri, sorelle, fratelli, da monumenti, da luoghi ribattezzati con i loro nomi. Una via crucis fatta di tragedie annunciate, che ha come numi tutelari Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che, come dice Jannuzzo all'inizio della sua storia, «erano come Inzaghi e Vieri: fortissimi e si integravano alla perfezione». Il pretesto è il decimo anniversario della Strage di Capaci, e il decimo compleanno del piccolo: il regalo è una giornata insieme, a parlare di mafia.
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