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Il nucleare

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Messaggio Da bibi Mar 23 Set 2008 - 20:22

2004 (solo quattro anni fa): un incidente nella centrale nucleare di Mihama, a 350 chilometri a ovest di Tokyo, segna tragicamente l’inizio della settimana in Giappone. Una fuoriuscita di vapore ad alta pressione, con una temperatura superiore ai 200 gradi centigradi, travolge quattro operai e li condanna a morte. Più tardi, un incendio divampa nella centrale di Shimane, nel settore destinato allo smaltimento delle scorie, adiacente al reattore numero 2. Poco dopo, l’impianto di Ekushima-Daini della Tepco (Tokyo Electric Power Co.) viene bloccato a causa di una perdita di acqua.

Stando alle dichiarazioni delle agenzie che gestiscono le centrali non ci sarebbe stata nessuna fuga radioattiva. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che la Tepco l’anno scorso è stata costretta a chiudere tutti i suoi 17 impianti nucleari per aver falsificato, per ben dieci anni, i documenti riguardanti la sicurezza. (Nel 2000, per scongiurare futuri incidenti nucleari il governo giapponese ha varato una nuova legge, secondo la quale le società di energia sono oggetto di ispezioni obbligatorie, e non più di controlli volontari.)

Il pericolo di contaminazione è lontano. Ed è l’unica buona notizia di una giornata che cade nell’anniversario dell’esplosione atomica nel 1945 sulla cittadina di Nagasaki, a 18 anni di distanza dal disastro di Chernobyl, quando ancora brucia il ricordo dell’incidente nella centrale nucleare di Tokaimura nel 1999, dove tre operai poco addestrati generarono una reazione nucleare incontrollata, contaminando 150 persone e destinandone altre migliaia allo sfollamento.

Ma questo non basta per mettere a tacere le proteste sempre più diffuse in Giappone contro l’opportunità di costruire altre centrali. Anzi: gli incidenti che hanno colpito tre delle 52 centrali funzionanti nell’impero del sol levante dimostrano con forza la pericolosità del nucleare e riportano a galla l’annosa questione dei suoi effetti devastanti sull’ambiente e sulla popolazione. A dispetto di alcuni studi diffusi proprio in questi ultimi anni, secondo i quali il nucleare non solo salverebbe il mondo dalla “fine del petrolio”, ma offrirebbe anche un valido aiuto contro l’effetto serra. A differenza degli impianti a combustibile fossile, le centrali nucleari non emettono anidride carbonica, il gas responsabile del riscaldamento della crosta terrestre. Questo è quanto sostiene l'Iea (l'Agenzia internazionale dell'energia). Secondo l'Agenzia, focalizzando l'attenzione sui vantaggi dell'energia nucleare in relazione ai cambiamenti climatici, si potrebbero anche vincere le preoccupazioni legate alla salvaguardia ambientale e ai rischi degli impianti (fonte: e-gazzette).

La stragrande maggioranza dei paesi aderenti all’Ocse si è opposta al nucleare e ha adottato misure restrittive nella costruzione degli impianti, mentre Belgio, Germania, Svizzera e Olanda hanno deciso di abbandonare questa fonte di energia (in Italia è stata bandita dopo il referendum del 1987). Attualmente appoggiano la costruzione delle centrali solo Corea, Giappone, Finlandia… e gli Usa. Probabilmente le premure manifestate dall’Iea dipendono dal cambio di rotta George W. Bush che, a pochi mesi dall’elezione a presidente, ha affermato di voler riconsiderare l’opzione nucleare. Questa, dopo anni di abbandono a seguito dell’incidente di Three Miles Island (Pennsylvania), sembrerebbe ora la soluzione ideale ai blackout e alle gravi carenze energetiche che affliggono la California e, in generale, tutti gli stati a stelle e strisce.

Secondo un recente rapporto del MIT per il governo Usa, il nucleare offre numerosi "vantaggi": il costo del kWh prodotto in centrali PWR (il tipo più diffuso) è competitivo rispetto alle centrali a carbone. L’uranio naturale da cui si ottiene il combustibile fissile (U-235) è abbastanza distribuito nella crosta terrestre, il costo del combustibile incide poco sul costo totale per la produzione del kWh, anche se il prezzo dell’uranio raddoppiasse avrebbe poca incidenza sul costo dell’energia prodotta. I reattori nucleari possono fornire cascami di energia termica utile alla produzione di idrogeno tramite idrolisi termochimica, l’energia elettrica eventualmente in eccesso nelle ore notturne può anch’essa essere convertita in idrogeno per elettrolisi, tutto ciò rende il nucleare la migliore tra le tecnologie da fonti esauribili sotto l’aspetto del rendimento energetico. Inoltre, i tempi di costruzione di nuove centrali si sono notevolmente ridotti: nuovi impianti sono realizzabili in circa 3 anni e sono accreditati dei migliori sistemi di sicurezza. Si ritiene poi che gli impianti nucleari abbiano il miglior rapporto spazio occupato/potenza installata. (fonte: http://www.energoclub.it/a/e-nucleare.htm)

Questi i “vantaggi” probabili del nucleare. Ben pochi, però, se messi a confronto con i rischi reali per l’ambiente e la salute della popolazione mondiale. Gli effetti nocivi delle scorie radioattive per l’organismo includono il cancro, la sterilità e perfino la morte; le radiazioni possono causare danni a carico del sistema immunitario, leucemia, aborti spontanei, parto di feti morti, deformità e mutazioni genetiche.

E questi rischi sono legati a tutte le fasi del “ciclo del nucleare”, dalla produzione al “ritrattamento” (o “riprocessamento”) delle sostanze fissili, al trasporto e allo stoccaggio delle scorie radioattive.

Gli incidenti come quelli accorsi in Giappone sono rari e le tecnologie di sicurezza prevengono danni ben più gravi. Tuttavia, durante il normale funzionamento di un reattore sfuggono inevitabilmente piccole quantità di sostanze radioattive, che incrementano la dose annua assorbita dall'ambiente circostante e dalla popolazione residente nei pressi di un reattore di qualche punto percentuale rispetto a quella dovuta al fondo di radioattività naturale.

(fonte: http://www.dica33.it/argomenti/salute_ambiente/radiazioni/radiazioni4.asp

A parte questo, il nucleare presenta problemi irrisolti di proporzioni mai riscontrate in nessun altro tipo di tecnologia, quali per esempio la produzione di scorie e il loro stoccaggio.

Il “ritrattamento”, tra le varie fasi del “ciclo del nucleare”, è quella che comporta maggiori rischi per i lavoratori, per la popolazione e per l’ambiente. Le operazioni che vi si svolgono, oltre ad essere caratterizzate da elevati rischi in caso di incidenti, comportano inevitabilmente lavorazioni in presenza di quantità elevate di radiazioni e di sostanze radioattive contaminanti, nonché sistematici rilasci nell’ambiente di sostanze radioattive sotto forma liquida o gassosa. (fonte: http://www.gruppoverdipiemonte.it/html/art-129)

Le scorie, invece, rimangono biologicamente pericolose per circa 250.000 anni e richiedono siti di stoccaggio adatti. Ma la ricerca e l’allestimento di tali siti non è una questione da poco, dal momento che devono rispondenti a numerosi requisiti, perché possano custodire le scorie, in modo ottimale, per migliaia di anni. Il sito di Trisaia (Scanzano Jonico) sembrava rispondere, in linea teorica, a tali requisiti. Innanzitutto la sovrapposizione degli strati geologici: uno spessore rilevante di argilla (oltre 600 metri), uno strato di salgemma (il sale da cucina) di oltre 250 metri di spessore, poi ancora un letto di argilla di centinaia di metri e sotto ancora sale. Un “panino” che avrebbe permesso di collocare le scorie a circa 800 metri di profondità nel livello di salgemma. Eppure, la sismicità della regione, la frequenza delle alluvioni negli strati superficiali, la presenza di acque di falda che sciolgono il sale, potrebbero minacciare la sicurezza del sito. La reazione della popolazione di Scanzano Jonico ha portato al pettine il problema della sicurezza, e quello delle conseguenze socioeconomiche cui sarebbe andata incontro la zona che vive di turismo e agricoltura. A cominciare dalla sua militarizzazione, per esempio.

Secondo un rapporto pubblicato da un pool di ricercatori inglesi “cinquant'anni di esperienza hanno dato prova che la ricerca della migliore maniera per amministrare le scorie nucleari è un concetto illusorio”. I bunker di cemento non sono consigliabili, perché devono essere ristrutturati ogni 100 anni; la spedizione delle scorie nello spazio fino al Sole potrebbe essere una “valida” alternativa, se non ci fosse il rischio del fallimento del lancio e di un’esplosione del razzo nell’atmosfera terrestre; il deposito sotto i ghiacci polari non è una via praticabile a causa di precisi divieti di un trattato internazionale, così anche non è possibile seppellire i fusti sotto i fondali oceanici: la soluzione sembrerebbe sicura, ma esiste una legge che vieta di gettare i rifiuti in mare. Si potrebbero spedire le scorie al centro della Terra, facendole risucchiare dalla crosta terrestre fino al centro del pianeta, ma anche in questo caso sono necessarie determinate caratteristiche geologiche dei siti. (fonte: http://www.basilicatanet.it/news/article.asp?id=211544)

Nell’attesa di trovare il sito ideale, le scorie vengono scorazzate qua e là, per mare e per terra… Una danza macabra che minaccia con l’incubo di fughe e svasamenti di materiale radioattivo tutte le terre che tocca.

Lo stesso incubo oggi ha sfiorato il Giappone. Dove approderà domani?


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bibi
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